Donne, grammatica e media: suggerimenti per l’uso dell’italiano è – come lo definisce l’autrice prof. ssa Cecilia Robustelli, docente di Linguistica italiana all’Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia – «una piccola guida consultabile da tutti, ma pensata soprattutto per giornaliste e giornalisti». In 80 pagine, ripartendo dalle regole della grammatica l’autrice avanza alcune importanti proposte operative, utili a far superare dubbi e perplessità circa l’adozione del genere femminile per i nomi professionali e istituzionali «alti», suggerendo soluzioni di facile applicazione e di «buon senso». Le donne – è l’assunto della “guida” presentata nei giorni scorsi alla Camera dei Deputati in un incontro al quale è intervenuta la presidente della Camera Laura Boldrini – “hanno fatto carriera”. Arrivano in gran numero ai ruoli apicali. Eppure nell’informazione restano invisibili. Sono passati quasi trent’anni dalle «Raccomandazioni per un uso non sessista della lingua italiana» di Alma Sabatini, e il giornalismo, con poche eccezioni, continua a definirle al maschile: può essere incinta, ma resta ministro. «La discriminazione di genere che ancora oggi, e non solo in Italia, vede le donne in posizione di svantaggio rispetto agli uomini in campo lavorativo, economico, sociale, familiare, – afferma la prof. ssa Cecilia Robustelli – si manifesta anche nel modo in cui esse vengono descritte attraverso il linguaggio. Anche i media continuano spesso a trasmettere l’immagine di una società costruita al maschile: la donna appare come un essere inadeguato o addirittura inferiore rispetto all’uomo, se ne sottolineano i tratti fisici o della vita privata più del peso sociale e politico, la si definisce tranquillamente al maschile se riveste un ruolo di rilievo in campo istituzionale o professionale. E’ una questione che affronto nel mio corso di laurea magistrale Italiano per la comunicazione istituzionale e aziendale. Ora anche le istituzioni cominciano a rendersi conto di questa discriminazione, tanto che la recente Legge quadro per la parità e contro le discriminazioni di genere 2014/91 della Regione Emilia Romagna contiene l’art. 9 Linguaggio di genere e lessico delle differenze». Si può dire ministra? E ingegnera? Esiste il femminile di questore? È meglio avvocata o avvocatessa? Forse è preferibile donna sindaco o donna ingegnere? E poi è proprio necessario usare sempre entrambe le forme, maschili e femminili, quando ci si riferisce a uomini e donne? Sono questi alcuni dei dubbi ai quali vuol rispondere questo libriccino. “L’obiettivo – spiega Nicoletta Maraschio, presidente onoraria dell’Accademia della Crusca nella sua prefazione – è che l’informazione riconosca, rifletta e rispetti le differenze, a partire da un uso corretto del linguaggio. C’è una richiesta forte, che dalla società sale verso l’informazione: aiutare il cambiamento culturale per fare dell’Italia un paese egualmente per donne e per uomini. La cultura cambia e la lingua, soprattutto, evolve. Il rischio per la nostra lingua è quello di continuare a trasmettere una visione del mondo superata, densa di pregiudizi verso le donne e fonte di ambiguità e insicurezze grammaticali e semantiche. Recentemente anche l’Accademia della Crusca si è pronunciata a favore di un cambiamento (http://www.accademiadellacrusca.it/it/tema-del-mese/infermiera-s-ingegnera). Perché il femminile esiste, basta usarlo”.
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