Fermare l'odio

08/12/2019 | Lettura della settimana

 

Questo libro è stato scritto mentre imperversava la disumana «chiusura dei porti» imposta dal governo italiano allora in carica (e ancora irrisolta) a danno di profughi in fuga dall’inferno libico.
La vicenda degli spostamenti di masse umane coincide con la storia stessa del genere umano. È puerile volervi porre un freno «a mano armata». Gli stessi Stati europei che ora indossano l’elmetto per chiudere le porte e i porti traggono origine da migrazioni di popoli che investirono – in un processo storico durato secoli – la struttura statale all’epoca considerata la più forte, quella dell’impero romano. Anche allora avvenne che forze spirituali, dall’interno, incrinarono (e rivelarono vana) la risposta militare. Anche allora, per un tempo non breve, la ‘migrazione’ avvenne in forma di stillicidio pacifico. E l’impero romano adottò, per un tempo non breve, verso l’irresistibile fenomeno, una risposta duttile integrando gli elementi più capaci o più in vista (anche i migranti sono ed erano attraversati da articolazioni sociali) nelle strutture soprattutto militari. Poi venne il tempo delle migrazioni di interi popoli armati e guidati da capi. Ricordare tutto questo aiuta a capire.
La conoscenza della demografia, delle linee di tendenza dell’attuale sviluppo demografico, gioverebbe molto agli europei arroccati e persuasi di aver risolto questioni di questa portata ‘regalandosi’ la ‘moneta unica’… Tra una decina d’anni la previsione è di un altro miliardo di umani sul pianeta. Anche un ottuso sovranista riesce a intuire che la spartizione delle risorse, a cominciare dall’acqua, diventerà sempre più conflittuale. E intanto lo sviluppo tecnologico fuori controllo, intrinseco al perseguimento del sempre maggior profitto, accentuerà i due principali suoi effetti: la devastazione dell’ambiente e delle sue risorse primarie e la macchina che soppianta l’uomo. (Così l’Europa felix vedrà aggravarsi il tarlo della disoccupazione, che il sopraggiungere di masse migranti rende ancor più lancinante.)
Di fronte a tutto questo il blocco ‘sovranista’ ha una sola risposta: attizzare odio contro il (falso) nemico, e armarsi.
Porre nella giusta luce questi fenomeni non significa imboccare la scorciatoia moralistica, bensì prendere atto di problemi capitali che, col tempo, sarà sempre più difficile fronteggiare.
Forse è giunto il momento di capovolgere la prospettiva. È tempo di considerare l’ondata migratoria come avamposto di un mondo in accordo col quale la (ancora) ricca Europa potrebbe dar vita ad una struttura federale euro-africana gravitante sul Mediterraneo, effettivamente paritaria, e in prospettiva, sempre più integrata. Da tempo la Francia, con comportamenti però neocoloniali, ha imboccato a modo suo questa strada nei confronti di una parte delle sue ex colonie (che usano ancora il franco). Se ne parla poco, ma intanto nascono aggregazioni a margine di una delle due principali potenze dell’«Unione»: il che la rende ancor più disunita di quanto già sia.
Se, invece, l’intera «Unione» si facesse protagonista di una svolta del genere, isolando le aree di crisi (e prevenendo ciò che altre potenze, ben più remote, stanno già tentando) potrebbe nascere una feconda interazione tra quel grande capitale umano ed il capitale di conoscenze e risorse del vecchio continente.
Le difficoltà di attuazione di un siffatto progetto sono tali da farlo apparire utopico. E in parte lo è, se solo si considera fino a che punto abbiamo pregiudicato la possibilità di aprire una pagina nuova con i popoli che abbiamo a suo tempo colonizzato iniettandovi, tra l’altro, anche il virus (tipicamente europeo) del nazionalismo. Ma non è sensato liquidare una strada seppur difficile e ricca di incognite (e resa ancor più difficile dalle divisioni perduranti tra gli stessi Stati europei), che però non ha alternative, se non – per dirla con la prima pagina del Manifesto di Marx – «la comune rovina» delle parti in lotta.
Sarà fortissima la resistenza di chi dirà: mi piace troppo questo mondo che mi sono conquistato, ci sto troppo bene e perciò non ho intenzione di condividerlo con altri.
L’esito non è scontato. Non solo per l’egoismo di alcuni, ma anche per le difficoltà degli altri: perché lo sviluppo diseguale induce, su scala mondiale, chi pur avrebbe interessi comuni da difendere ad assumere comportamenti difformi e reciprocamente ostili o incoerenti. Se parve facile (e invece non lo fu) coordinare i socialismi d’Europa – che poi finirono con lo spararsi addosso da opposte trincee nella «Grande Guerra» – nell’odierno mondo «globalizzato» i popoli «vivono in tempi storici differenti», il che costituisce impedimento grande alla loro solidarietà. Anche per questo, soprattutto per questo, l’utopia deve sposarsi col realismo e andare a lezione dalla storia. Il Mediterraneo – oggi cimitero a cielo aperto –, che l’imperialismo europeo per lungo tempo ha diviso in colonizzati e colonizzatori, era stato molto prima, e per un tempo non breve, un’area politico-culturale unitaria. Può tornare ad esserlo se sapremo ripensare radicalmente la troppo angusta, arroccata e qua e là incrinata, «unione» europea.
Certo le recenti dichiarazioni rese da Emmanuel Macron ai suoi parlamentari il 16 settembre scorso non fanno ben sperare: sulla questione migranti – egli ha detto – ci vuole fermezza «per evitare di diventare un partito borghese che non tiene conto dell’opinione delle classi popolari sedotte dal Rassemblement National»
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Editore: Laterza, Roma-Bari
Autore: Luciano Canfora
ISBN 9788858139974
Pagine 66
Anno di pubblicazione 2019

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