MOZIONE MARINO-CASADEI
Al centro i territori: giocare fuori dagli schemi consolidati
Aprire porte e finestre: il PD partito della partecipazione attiva
In questa fase difficile per il paese, per la politica e per la società italiana, il Partito Democratico deve fare un salto di qualità nei suoi metodi e nei suoi approcci ai problemi, anche a livello locale e regionale. In concreto deve divenire coraggioso e deciso, parlare una lingua che si faccia capire dalle persone; attuare scelte chiare, frutto della partecipazione di aderenti e sostenitori, allargare e rafforzare i propri consensi nella società; essere trasparente e rigoroso nella pratica quotidiana. Il PD deve abolire vecchie formule e vecchie prassi e divenire il partito dei contemporanei, passare dai lunghi discorsi ed enunciazioni di intenti ad azioni nette e concrete.
Ho deciso di accogliere queste sfide, sulle quali ritengo si misuri la capacità di costruire un’alternativa credibile alle destre, candidandomi alla Segreteria regionale del PD per la mozione di Ignazio Marino. Una mozione fuori dagli schemi, che intende percorrere vie nuove anche nella costruzione delle piattaforme programmatiche. Una mozione che propone di mettere in relazione più stretta le eccellenze di questa Regione e di farle uscire dai confini locali, di ripensare alcune dinamiche decisionali con riferimento ai grandi temi politici e amministrativi (un es. per tutti le multiutilities e le società partecipate), di dare voce ai territori, e far conoscere al meglio le buone prassi e di estenderle su tutto il territorio. Su questa proposta, come opzione progettuale in seno al PD, intendiamo aprire un’ampia discussione, che non parli solo all’interno del perimetro del partito, ma che metta in movimento quelle energie che faticano a trovare accesso allo spazio pubblico.
La nostra mozione intende dare voce ai democratici di base, a coloro che operano nel mondo economico, sociale, culturale, associativo, a coloro che intrecciano la politica con il mondo delle professioni, a tutti gli amministratori che intendono portare un contributo concreto, frutto delle loro esperienze, al centro del confronto in seno al partito.
Come è possibile tutto questo? Con un gesto assolutamente fuori dagli schemi: la mozione Marino in Emilia Romagna, e il candidato che la rappresenta, hanno scelto di costruire la propria proposta programmatica non in una stanza chiusa, mettendo all’opera poche persone o addirittura una singola persona (magari validissima), ma di elaborarla negli spazi aperti del confronto, ascoltando i territori, gli amministratori, gli iscritti, i cittadini elettori che si riconoscono nel progetto ideale del PD ma che vogliono coerenza tra i principi e le azioni. Si tratta di una grande operazione di mobilitazione e di confronto, che intendiamo sviluppare in tutto il territorio regionale dialogando con ogni realtà singola od associata interessata a portare il proprio contributo. Così intendiamo il congresso del PD perché vorremmo costruire un partito che dia voce a tutti i cittadini che ne seguono con passione le vicissitudini, un partito che riparta dalla base, dalla valorizzazione e dall’ascolto dei propri iscritti, simpatizzanti, “cittadini-elettori” (un concetto, quest’ultimo, magistralmente tratteggiato da Roberto Ruffilli).
La mozione regionale verrà presentata nella prima settimana di settembre, dopo una campagna di ascolto e di progettazione che è già in corso grazie ad un dialogo stretto con i territori e all’uso delle nuove tecnologie: Partito aperto e presente, Ambiente e Mobilità, Innovazione e Lavori, Laicità e Diritti di cittadinanza necostituiscono gli assi di indirizzo.
Si tratta di una sfida autentica, radicale, innovativa e coraggiosa: abbiamo la speranza concreta di poterla vincere, grazie all’azione e all’impegno di tutti coloro che non hanno il timore di giocare fuori dagli schemi. Sono queste, del resto, le partite più avvincenti.
Alcuni spunti programmatici concreti:
i circoli, mobilità, energie rinnovabili e occupazione, parità di diritti
Eccone qui quattro esempi all’insegna della concretezza e dell’operatività:
1) I circoli come luoghi aperti e ricchi di iniziativa. Il PD dovrebbe utilizzare al meglio le sue sedi, tenendo presente che esse rappresentano un patrimonio politico enorme non utilizzato. I circoli, nella stragrande maggioranza, restano aperti per uno o due giorni alla settimana e per il resto del tempo rimangono chiusi, spazi inutilizzati dalle persone e dalla politica. Le sedi dovrebbero avere invece un reale contatto con il territorio, dovrebbero restare aperte il più possibile e dovrebbero rappresentare un punto di aggregazione in cui varie realtà del territorio si incontrano liberamente, e non solo durante le iniziative pubbliche. A tal fine si potrebbe dare in comodato, gratuito con il rimborso delle spese vive, alle associazioni di volontariato, che si occupano di solidarietà, presenti nel territorio, lo spazio fisico delle nostre sedi, ovviamente nei giorni e negli orari in cui gli spazi rimangono inutilizzati. In questa maniera, e senza costi economici o di altro genere, otterremmo di dialogare finalmente con realtà che ci sono sconosciute, di interagire con queste realtà e di farci conoscere, facendo capire che anche la nostra militanza è volontariato. La sedi diventerebbero così un luogo che è aperto e frequentato tutti i giorni, un punto di riferimento per il territorio ed anche un centro che produce cultura, oltre che un luogo dove si fa politica.
2) Ripensare le forme della mobilità. Lacondizione dei servizi ferroviari locali in Emilia-Romagna, e specialmente del SFM bolognese, è sotto gli occhi di tutti. Piemonte, Lombardia, Veneto, Toscana e anche Lazio e Campania ci hanno sopravanzato e per investimenti e per organizzazione del servizio. È del tutto evidente la non priorità del problema da parte della Regione e degli altri Enti Locali. Occorrerebbe reperire risorse per portarci ad un livello degno di una delle regioni più ricche, ma anche più inquinate, d’Europa. Problema complicato dagli effetti economici della crisi finanziaria mondiale. A tal proposito si potrebbero lanciare due proposte.
In Emilia-Romagna ci sono 2.647.740 automobili circolanti (senza contare gli altri tipi di veicoli privati), stando ai dati 2008. Nel 2001, con un provvedimento forse non troppo lungimirante, fu eliminata l’addizionale regionale sul bollo auto. In media circa 2 euro al mese per veicolo. Crediamo non sia cosa semplice trovare un proprietario di autoveicolo che abbia notato la differenza. In compenso alla Regione sono mancati circa 50 milioni di euro l’anno che si sarebbero potuti spendere proprio per i servizi ferroviari locali, comprando nuovo materiale rotabile, implementando il servizio cadenzandolo all’ora, mezz’ora, quarto d’ora a seconda delle tratte, incentivando la soluzione della ormai stantia questione del biglietto unico regionale. Rimettiamo l’addizionale vincolandola al SFR ed al SFM. La seconda proposta potrebbe essere quella di un patto volontario fra Comuni e Province per la creazione di un fondo comune per i servizi ferroviari locali nel quale far confluire una percentuale da decidere (5-10%) di tutti gli investimenti a favore del traffico su gomma. In questo modo, senza eccessivi sforzi per i contribuenti e senza mettere in crisi le finanze locali, già punite dalle politiche governative, potremmo avere le risorse necessarie per garantire un trasporto pubblico su ferro in grado di conquistare centinaia di migliaia di utenti e farli divergere dalla motorizzazione privata, con sollievo sia delle loro tasche, sia della loro sicurezza e salute, sia dell’ambiente nel quale viviamo.
3) Le energie rinnovabili: prendersi cura dell’ambiente e, insieme, dell’occupazione. Di recente il Gestore Servizio Elettrico nazionale, ha diffuso la cartina della produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili nell’anno 2008. La produzione idro-elettrica continua ad essere la regina tra le rinnovabili: da sola conta circa il 65-70% della produzione “alternativa”. Il solare contribuisce per una percentuale irrisoria alla produzione nazionale (3 per mille sul totale delle sole rinnovabili). Le rinnovabili sono meno del 19% della produzione totale. Il solare in Italia, nel 2008, è cresciuto del 400% rispetto al 2007. L’idroelettrico del 20% ma solo per una maggior piovosità. Partendo da qui, si possono pensare alcune direttrici principali di intervento: a) Interventi pubblici diretti: prevedere la sistematica copertura degli edifici che possiede e/o intende costruire (in particolare ospedali e/o scuole); b) interventi pubblici indiretti: in Regione prevedere di vincolare il rilascio di permessi per la costruzione di centri e aree commerciali e/o produttive e/o residenziali all’impianto di superfici congrue di celle fotovoltaiche e di solare termico. La stessa cosa deve avvenire per ogni attività di interesse pubblico come, ad esempio, i parcheggi; c) Politiche di sviluppo integrato: cominciare a “trasformare” i nostri distretti industriali e artigianali in sistemi integrati di produzione, approvvigionamento e risparmio di energia elettrica. Questi devono essere temi centrali per i distretti come oggi lo sono quelli delle infrastrutture viarie. d) Compartecipazione alle spese di installazione delle celle fra produttori tradizionali di energia e consumatori: può diventare interessante nell’ottica del punto c), ma anche per privati cittadini, si possono sviluppare contratti di affitto o “mezzadria” di superfici “pannellabili” con società produttrici di energia elettrica abbattendo significativamente l’investimento iniziale. La Regione potrebbe individuare “criteri standard” e svolgere opera di coordinamento.
4) Parità di diritti, per tutti. Non può esservi effettiva dignità umana se non è garantita a tutti la capacità di esercitare i propri diritti civili e sociali. L’esercizio concreto dei diritti svolge una funzione fondamentale nella protezione della persona, nelle diverse fasi della vita, nei diversi stadi esistenziali, nei diversi ruoli, con i propri bisogni e le proprie specificità, e rinvia all’elaborazione e attivazione di tecniche giuridiche e di politiche pubbliche orientate e renderlo possibile. La centralità dei diritti permette di ripensare le questioni dell’eguaglianza (e della differenza) e di ridefinire la cultura politica che sostanzia un’organizzazione collettiva quale è un partito. I diritti traducono in enunciazioni i valori riconducibili alle diverse manifestazioni della dignità della persona umana e la conseguente “forza normativa” li trasforma in pratiche reali. A partire da queste premesse un Partito come quello Democratico, che voglia rappresentare le forze progressiste del paese, non può non mobilitarsi – costantemente – per i diritti, e per i diritti di tutti. Per i diritti civili, per i diritti sociali, per i diritti di cittadinanza. Con riferimento ai primi è tempo che il Partito Democratico, a partire da una coerente impostazione laica, si batta con decisione, su scala nazionale e locale (e a questo riguardo la Regione Emilia Romagna potrebbe dimostrare di essere, ancora una volta, un valido esempio da imitare), per raggiungere i seguenti fondamentali obiettivi: a) introdurre una norma antidiscriminatoria che preveda una percentuale minima di genere del 40% nelle Istituzioni e nei Consigli di Amministrazione; b) approvare una legge contro l’omofobia; c) approvare una legge sulle unioni civili, sull’esempio delle civil partnership britanniche, che sancisca il riconoscimento giuridico delle coppie di fatto (anche dello stesso sesso); d) approvare la legge sul Testamento Biologico; e) approvare un codice antidiscriminatorio su scala regionale, che contrasti ogni forma di discriminazione. I diritti si originano dalla rivendicazione, dal basso. Ed è con una politica dal basso, di mobilitazione e lotta, che il PD può affrontare un nodo come quello della conquista della parità effettiva di dignità e diritti da parte di tutti i cittadini; un nodo ancora irrisolto nonostante più di 15 anni di sollecitazioni da parte dell’Europa.