Il decalogo per salvare l’ Italia
Repubblica — 11 novembre 2010 pagina 148 sezione: PRIMA PAGINA
NEL mese di aprile del 2010, il debito pubblico italiano ha raggiunto il livello record di 1812,8 miliardi di euro, superando così il precedente record che datava ottobre 2009. In termini di indebitamento pubblico in rapporto al Pil, l’ Italia occupa la sesta posizione tra i paesi di tutto il mondo, la terza tra quelli sviluppati – secondo lo stesso parametro-e la seconda trai paesi sviluppati in relazione alla detenzione del debito da parte degli stranieri. Il 70% del debito pubblico italiano è effettivamente posseduto da «non italiani». Domani l’ editore Fazi manda in libreria il saggio di Jacques Attali “Come finirà? L’ ultima chance del debito pubblico” (pagg. 216, euro 17,50). Anticipiamo parte del capitolo sulla situazione italiana scritto in occasione di questa edizione uesta proporzione è del 95,6% per la Grecia, del 52,2% per la Francia, del 16,5% per la Gran Bretagna. Ciascun italiano è così debitore di una somma di 31.000 euro per il rimborso del debito pubblico, ovvero sedici mesi delle sue entrate. La Banca d’ Italia ha tra l’ altro registrato una diminuzione delle entrate fiscali dell’ 1,8%, secondo una proporzione sulla prima parte dell’ anno. In base a questa evoluzione, il debito pubblico italiano nel 2010 dovrebbe raggiungere il 118,4% del PIL, contro il 115,8% nel 2009. (…) Nel 2016, la Repubblica italiana avrà settant’ anni, l’ età della maturità e della saggezza per ogni regime politico in Europa. In confronto, nessuna Costituzione francese è durata di più. Se non ci si muove in tempo, l’ Italia si ritroverà irrimediabilmente sprofondata in una crisi d’ identità, e verrà cancellata dalla scena mondiale (…). Prima di qualsiasi misura economica, occorrerà innanzitutto ridurre i rischi di nuove importanti spese pubbliche dovute agli errori del sistema finanziario, imponendo regole di prudenza molto più rigorose: è scandaloso che un governo sia costretto a ridurre le spese che servono a migliorare sanità e giustizia per finanziare gli errori dei banchieri americani. Per trovare reali margini di manovra, occorrerà in seguito approntare bilanci pubblici e sociali tali da individuare un surplus sufficiente a riportare in alcuni anni il debito pubblico a livelli tollerabili. Sarà anche necessario continuare la lotta contro la frode e l’ evasione fiscale. Questo piano d’ emergenza deve essere attuato prima delle prossime grandi scadenze elettorali, cioè nei prossimi tre anni, e il suo proseguimento dovrà essere il tema fondamentale nel dibattito politico che, dopo le elezioni, preluderà alla nomina del presidente del Consiglio. Per definirlo occorre fare una scelta preliminare tra moratoria e rispetto della parola data. Attualmente, l’ opzione da prendere in considerazione non si discute: la gravità di un dibattito successivo a una moratoria sarebbe incommensurabile. Occorre poi decidere di quanto devono essere ridotte le spese e aumentate le entrate, poiché sarebbe illusorio credere che il necessario adeguamento di bilancio si possa fare solo con una delle due cose. Una riduzione significativa delle spese pubbliche è possibile, anche senza mettere in pericolo la qualità e l’ equità dei servizi pubblici italiani. Questo esige di proseguire la riforma dello Stato iniziata dieci anni fa. Si tratta di completarla con misure coraggiose, tanto caparbie quanto impopolari, troppo a lungo ritardate: la caccia sistematica agli sprechi o alle doppie occupazioni nelle amministrazioni militari, civili e sociali; la riduzione massiccia delle sovvenzioni all’ agricoltura e alle industrie non più produttive; la diffusione delle tecnologie relative all’ «ubiquità nomade» nei servizi pubblici; la soppressione di tutte le strutture amministrative e politiche superflue, siano esse statali, parastatali o regionali. È possibile migliorare i servizi pubblici anche destinando loro meno risorse di prima. Sarà necessario incrementare le entrate, e quindi decidere quali imposte aumentare: scelta eminentemente politica, dipendente dalle categorie sociali che la maggioranza al potere sceglie di proteggere come priorità. (…) Occorrerà certamente aumentare significativamente l’ IVA (misura meno ingiusta in un periodo di stabilità dei prezzi) e creare una o due aliquote supplementari alle cinque attuali dell’ IRPEF, piuttosto che pensare di ridurre quest’ ultima soltanto a due aliquote. Inoltre sarà necessario tener conto della speranza di vita nel calcolo dei contributi e delle pensioni, anche per i lavoratori del settore pubblico, a eccezione di quelli che esercitano lavori usuranti o pericolosi, e finanziare, almeno in parte, le spese legate all’ assistenza e all’ allungamento della durata di vita con i redditi da capitale. L’ aumento delle imposte comporterà altri sacrifici: una famiglia non potrà finanziare allo stesso tempo l’ assistenza degli anziani con le tasse e gli «oggetti-nomadi» dei giovani con la spesa privata. Quest’ aumento dovrà avere un limite: se diventa eccessivo, il rischio di veder crollare la competitività del paese e il suo tasso di risparmio diventa grande. Per garantire il successo di questo insieme di misure, occorrerà gestire in totale trasparenza la nuova ripartizione delle risorse tra generazioni presenti e future. Cioè ridefinire il modello sociale dell’ Italia.
Traduzione di Emilia Bitossi – JACQUES ATTALI
Rapporto Attali al secondo atto ma rischia il flop
Repubblica — 16 ottobre 2010 pagina 33 sezione: ECONOMIA
PARIGI – Un lavoro inutile, nel migliore dei casi: il secondo rapporto della commissione Attali è stato accolto con un misto di scetticismo e di ironia da esperti e uomini politici. Presentato ieri sera a Nicolas Sarkozy, non è stato illustrato con nessuna conferenza stampa, segno inequivocabile del suo destino: finire in un cassetto. Se le 316 proposte di due anni fa, anche se in gran parte rimaste nel libro dei sogni, hanno almeno suscitato qualche discussione, il nuovo documento rischia di cadere nel vuoto. Chiamato a dire come rafforzare la crescita e ridurre i deficit all’ uscita dalla crisi, Jacques Attali non ha la bacchetta magica. Per una parte, il suo documento propone misure già prese o previste dal governo (come la riduzione di certi sgravi fiscali e la diminuzione dei farmaci rimborsati dal servizio sanitario), mentre altre sono politicamente impraticabili a un anno e mezzo dalle presidenziali: tagli agli assegni familiari, riduzione delle prestazioni sanitarie, deregulation per medici e farmacisti, aumento dell’ Iva per finanziare la previdenza sociale, congelamentoo quasi degli stipendi nella funzione pubblica. Secondo Attali, non basta ridurre il deficit pubblico entro il 3% nel 2013, ma occorre anche riportare il debito al 60% entro il 2020. Una cura da cavallo impossibile da far passare in un paese già in rivolta contro l’ innalzamentoa 62 anni dell’ età pensionabile. «Non è più Attali, è Attila», ha ironizzato Marine Le Pen, leader dell’ estrema destra. Ma le proposte dell’ ex braccio destro di François Mitterrand non hanno sorpreso nessuno, visto che in estate aveva già dato il tono: «Abbiamo davanti a noi dieci anni di austerità». Difficile immaginare che un programma di questo tipo possa trovare grandi appoggi nel mondo politico. –
Giampiero Martinotti