Ambiente, 90mila posti dal riciclo dei rifiuti
La raccolta differenziata dei rifiuti fa bene all’economia: fa risparmiare materie prime nei processi produttivi, contribuisce a tagliare le emissioni di anidride carbonica nell’atmosfera e soprattutto crea nuovi e qualificati posti di lavoro. Molti posti di lavoro. Secondo le ultime stime elaborate dal Conai, il consorzio nazionale degli imballaggi, e dal centro analisi Althesys, sono oltre 90mila gli addetti che operano in Italia nel campo della valorizzazione dei rifiuti e oltre un migliaio le aziende coinvolte nelle varie fasi della filiera del riciclo, dalla raccolta alla selezione, dal riuso allo smaltimento dei sovvalli. «In dieci anni – spiega Walter Facciotto, direttore generale del Conai – grazie alla raccolta differenziata di vetro, plastica, metalli, legno e carta, sono stati ottenuti 7,8 miliardi di euro di vantaggi per il sistema economico italiano e sono stati creati, dal migliaio di imprese attive, circa 90 mila nuovi posti di lavoro». E infatti il settore cresce: non solo dal punto di vista quantitativo («7,2 milioni di tonnellate di imballaggi riciclati, con il recupero di quasi il 65% di quelli immessi al consumo, e quindi una crescita del 4,5% sull’anno precedente», prosegue Facciotti) ma anche da quello qualitativo. Le imprese migliorano i processi di selezione e gestione dei rifiuti, cercano nuove soluzioni tecnologiche, sperimentano e brevettano materiali ottenuti dal riciclo degli scarti. Un’attività di studio e ricerca svolta grazie all’impiego di professionisti specializzati nelle più diverse discipline: chimici, fisici, biologi, ma anche e sempre di più ingegneri gestionali, economisti, esperti in diritto ambientale. «Sono numerose le posizioni attualmente aperte nell’industria del riciclo e dello smaltimento – spiega l’economista Alessandro Marangoni, esperto in gestione dei rifiuti e docente all’Università Bocconi – e si sviluppano intorno a tre ambiti: quello normativo, quello ingegneristico e quello economico». Così se da un lato, con leggi nazionali ed europee sempre più articolate, aumenta la necessità di giuristi d’impresa, dall’altra il rapporto con le local utilities, le società di igiene urbana, sono terreno per gli esperti in materie gestionali e ambientali, che affiancano i laureati in ingegneria nel lavoro di efficientamento e analisi dei processi di selezione e smaltimento dei rifiuti: «Lo sviluppo di nuove modalità di produzione, il miglioramento dei disciplinari e l’applicazione delle best practices sono incarichi strettamente tecnici, quindi per gli ingegneri – dice ancora Marangoni -. La parte che però oggi ha più possibilità di crescita è quella gestionale. Il waste management non è fatto solo di aspetti normativi o solo di questioni tecnologiche: grande attenzione va infatti data ai modelli organizzativi, al funzionamento dei sistemi di raccolta e di riciclo, ai costi dell’impresa». Accanto a professioni relativamente nuove ci sono poi quelle tradizionali, che hanno trovato nell’industria dei rifiuti uno sbocco occupazionale importante: i chimici e i biologi, a cui vengono demandati compiti di analisi e controllo delle emissioni nocive, o i fisici, impegnati nello studio delle proprietà dei diversi materiali inviati al riciclo o allo smaltimento.
Ma nonostante il comparto offra già oggi notevoli opportunità di carriera, e le previsioni per il futuro siano altrettanto positive, il sistema universitario fatica a organizzare corsi di laurea dedicati alla formazione di questi professionisti, soprattutto di quelli con un cursus studiorum meno tecnico. «C’è ancora difficoltà – per dirla con le parole di Marangoni – a far aderire i bisogni delle imprese, che chiedono laureati con competenze pratiche, con i corsi degli atenei. Per quanto riguarda le figure tecniche, comunque, il sistema universitario italiano è ben strutturato, mentre per i profili economico-gestionali c’è ancora molta strada da fare». E quindi, insieme con alcune eccezioni (i master legati a tematiche ambientali), resta l’azione del Conai: «Con la nascita del consorzio è partito subito un progetto di formazione che continua tutt’oggi, che si è sviluppato sotto diversi aspetti – conclude Facciotto – e che ha coinvolto in primo luogo gli insegnanti delle scuole, a cui forniamo via internet sempre nuovi materiali didattici e informativi. Accanto a ciò non si è mai fermata l’azione di sensibilizzazione grazie a corsi, convegni e seminari organizzati in tutta Italia».