Ue: "Clandestini non punibili con carcere"
La Corte di Giustizia del Lussemburgo boccia la legge italiana che introduce il reato di clandestinità punibile con la reclusione perché in contrasto con la direttiva comunitaria sui rimpatri. L’organismo invita il giudice nazionale a disapplicare la legge. Il ministro: "Altri Paesi non sono stati censurati"
BRUXELLES – La Corte di Giustizia della Ue boccia la norma italiana che prevede il reato di clandestinità, introdotto nell’ordinamento italiano nel 2009 nell’ambito del "pacchetto sicurezza". Punendo la clandestinità con la reclusione, la norma è in contrasto con la direttiva europea sui rimpatri degli irregolari, spiegano i giudici europei, la cui più importante prerogativa è garantire che la legislazione Ue sia interpretata e applicata in modo uniforme in tutti i paesi dell’Unione.
Laura Boldrini, portavoce dell’Alto commissariato Onu per i rifugiati, non è sorpresa. "La sentenza è coerente e in armonia con quanto già espresso dai giudici italiani – afferma all’Ansa -. La Corte costituzionale e la Cassazione avevano già rilevato come punire con la detenzione il mancato allontanamento del migrante fosse una misura sproporzionata e inutile". Ora l’Unhcr "auspica che la direttiva Ue sui rimpatri venga quanto prima recepita, poiché stabilisce in modo chiaro le modalità di allontanamento dei migranti irregolari e ribadisce anche l’inderogabilità del principio del non respingimento per richiedenti asilo e rifugiati". Anche Oliviero Forti, responsabile nazionale immigrazione della Caritas, si aspetta "che venga recepita la direttiva dell’Unione europea sui rimpatri e sia rispettata la sentenza europea". Ma il ministro dell’Interno Roberto Maroni, dicendosi "insoddisfatto" del verdetto, riapre la polemica con le istituzioni comunitarie.
"Ci sono altri Paesi europei che prevedono il reato di clandestinità e non sono stati censurati" dichiara Maroni, entrando poi nel merito del verdetto Ue. "L’eliminazione del reato, accoppiata alla direttiva europea sui rimpatri, rischia di fatto di rendere impossibili le espulsioni, trasformandole solo in intimazione ad abbandonare il territorio nazionale entro sette giorni – spiega il ministro dell’Interno -. Questo rende assolutamente inefficaci le politiche di contrasto all’immigrazione clandestina". Maroni annuncia che "nei prossimi giorni" si riserverà "di valutare le conseguenze di questa sentenza e vedere come porvi rimedio". "Noi vogliamo continuare con le espulsioni – afferma Maroni – con la Tunisia, in particolare, funzionano bene. Sono oltre 600 i tunisini rimpatriati dal 5 aprile".
Alla luce della sentenza Ue, il ministro ribadisce ancora una volta la distanza dell’Europa dall’Italia. "L’Italia è in Europa, occorre che le istituzioni europee si rendano conto che i problemi che ha l’Italia non solo solo suoi ma sono problemi che ha il resto dell’Europa. Se si rende più difficile l’espulsione dei clandestini non è un problema solo dell’Italia ma è un problema di tutta l’Europa".
A porre in contrasto la legge italiana con la direttiva comunitaria, si legge in una nota diffusa dalla Corte di Giustizia del Lussemburgo, è la reclusione con cui l’Italia punisce "il cittadino di un paese terzo in soggiorno irregolare che non si sia conformato a un ordine di lasciare il territorio nazionale". Reclusione che compromette la realizzazione dell’obiettivo della direttiva Ue "di instaurare una politica efficace di allontanamento e di rimpatrio nel rispetto dei diritti fondamentali".
Compromette l’obiettivo della direttiva comunitaria, ad esempio, il caso di Hassen El Dridi, algerino condannato a fine 2010 a un anno di reclusione dal tribunale di Trento per non aver rispettato l’ordine di espulsione. Sentenza che El Dridi ha impugnato presso la Corte d’appello di Trento, da cui è partita la richiesta alla Corte di Giustizia di chiarire se la legge italiana sia in contrasto con la direttiva Ue sul rimpatrio dei cittadini irregolari di paesi terzi.
Secondo i giudici europei, "gli Stati membri non possono introdurre, al fine di ovviare all’insuccesso delle misure coercitive adottate per procedere all’allontanamento coattivo, una pena detentiva, come quella prevista dalla normativa nazionale in discussione, solo perché un cittadino di un paese terzo, dopo che gli è stato notificato un ordine di lasciare il territorio nazionale e il termine impartito con tale ordine è scaduto, permane in maniera irregolare su detto territorio".
In conseguenza della sentenza Ue, conclude la Corte del Lussemburgo, il giudice nazionale "dovrà quindi disapplicare ogni disposizione nazionale contraria alla direttiva – segnatamente, la disposizione che prevede la pena della reclusione da uno a quattro anni – e tenere conto del principio dell’applicazione retroattiva della pena più mite, che fa parte delle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri".
In tema di rimpatri, quindi, la Corte riafferma come gli Stati membri non possano applicare regole più severe di quelle previste dalle procedure della direttiva Ue. Una procedura divisa in più fasi. La prima consiste nell’adozione di una "decisione di rimpatrio", nell’ambito della quale va accordata priorità, spiega ancora la Corte, "a una possibile partenza volontaria, per la quale all’interessato è di regola impartito un termine compreso tra sette e trenta giorni". Nel caso in cui la partenza volontaria non sia avvenuta entro il termine stabilito, "la direttiva impone allo Stato membro di procedere all’allontanamento coattivo, prendendo le misure meno coercitive possibili". Lo Stato può procedere al fermo soltanto "qualora l’allontanamento rischi di essere compromesso dal comportamento dell’interessato". Il trattenimento deve avere "durata quanto più breve possibile", essere "riesaminato a intervalli ragionevoli", deve cessare "appena risulti che non esiste più una prospettiva ragionevole di allontanamento" e la sua durata "non può oltrepassare i 18 mesi". Inoltre, ricorda la Corte di Giustizia, "gli interessati devono essere collocati in un centro apposito e, in ogni caso, separati dai detenuti di diritto comune".
Nel giugno dello scorso anno, la Corte Costituzionale italiana si era invece espressa sull’illegittimità della clandestinità come "aggravante", introdotta nel 2008 col primo "pacchetto sicurezza" del governo e determinante un aumento di pena fino a un terzo. La Corte Costituzionale aveva considerato "discriminatoria" l’aggravante della clandestinità e in contrasto con il principio di uguaglianza sancito dall’articolo 3 della Costituzione. La Consulta aveva invece dato un sostanziale via libera al reato di clandestinità, punito con l’ammenda da 5 mila a 10 mila euro.
Luca Zaia, governatore leghista del Veneto, parla di una sentenza "destabilizzante", che "cancella, in fatto e in diritto, il concetto di confine", una "scellerata visione giuridica e culturale dalle ricadute gravissime". "Innanzi tutto – spiega Zaia -, ricordo le centinaia di miglia di persone che si stanno muovendo ai nostri confini. Ma, ancora, ricordo che politicamente si cancella una legge votata da un Parlamento sovrano di uno stato fondatore dell’Ue. Culturalmente si vuole minare l’identità di una nazione e, dunque, della nostra stessa esistenza come popolo".
Per Maurizio Gasparri, presidente del gruppo Pdl al Senato, "sbaglia l’Europa e non l’Italia" e "di fronte ai problemi che l’attualità ci propone, più che le leggi italiane in materia di immigrazione dovrebbero essere riviste le direttive europee". "L’Italia deve mantenere una linea chiara – aggiunge -. Certe sentenze sono un incoraggiamento per i clandestini e l’Italia dovrà far sentire chiara e forte la sua voce a tutti i livelli europei e internazionali".
Il sindaco di Roma, Gianni Alemanno, osserva come la sentenza Ue "non cancelli il reato di clandestinità, ma la pena di reclusione", per questo "è ancora più urgente un decreto legge del governo che metta in ordine i meccanismi legati all’immigrazione extracomunitaria e neocomunitaria". "Abbiamo necessità – sostiene Alemanno, che sottolinea di aver parlato della vicenda con il sottosegretario all’Interno Alfredo Mantovano – di avere uno strumento forte per regolare i flussi per accogliere coloro che vengono a lavorare e a convivere nella nostra città e poter espellere chi commette reati".
Nell’opposizione, il primo a commentare la bocciatura comunitaria della legge italiana è Antonio Di Pietro. "E’ ormai provato – afferma il leader di Idv – che siamo di fronte a una dittatura strisciante in cui vengono presi provvedimenti contro la Carta dei diritti dell’uomo, si dichiara guerra senza passare per il Parlamento e si occupano le istituzioni per fini personali. E’ gravissimo che questa maggioranza, asservita al padrone, continui a fare leggi incostituzionali e contro i diritti fondamentali delle persone. Siamo alla vigilia di un nuovo Stato fascista che va fermato e l’occasione saranno le amministrative e i referendum del 12 e 13 giugno".
Laconico il commento di Rosy Bindi. "Sull’immigrazione le figuracce del governo italiano non finiscono mai – dice la presidente dei democratici -. La Corte di Giustizia europea mette a nudo le violazioni dei diritti umani, l’approssimazione e i ritardi di norme approvate solo per fare propaganda, dimostrando un’efficacia che alla prova dei fatti pari a zero. Del resto, cosa aspettarsi da un governo prigioniero delle parole d’ordine della Lega e incapace di affrontare con serietà e giustizia il fenomeno globale e inedito dell’immigrazione".
Il leader Udc Pier Ferdinando Casini: "A questo punto aspetto solo che Berlusconi ci spieghi che i giudici europei sono comunisti". Entrando nel merito della sentenza, Casini sottolinea che "è stato bocciato il reato di immigrazione clandestina, come noi chiaramente avevamo detto. Il governo, essendo in stato confusionale, fa provvedimenti per compiacere, demagogia che puntualmente non riesce a trovare verifica" perché le norme "vengono bocciate nelle varie sedi". Questo, conclude Casini, "è indicativo di come si sta procedendo. Così non si può andare avanti".
Anna Finocchiaro, presidente dei senatori del Pd, considera un "sollievo" il "no" della Corte Ue alla reclusione per i clandestini prevista della legge italiana. La conferma di "quanto fossero a suo tempo fondate le obiezioni da parte dell’opposizione alla normativa del governo imposta dalla Lega". Un pronunciamento che "deve far riflettere chi, anche in queste ore, affronta un tema così importante per il nostro futuro come l’integrazione in termini esclusivamente elettorali e demagocici".
Per Benedetto Della Vedova, capogruppo di Fli alla Camera, la bocciatura "non è, come molti vorranno fare apparire, una sentenza buonista. A essere stata bocciata è una norma demagogica e inefficiente, che aggrava l’arretrato giudiziario e il sovraffollamento carcerario, senza migliorare e al contrario intralciando le procedure di espulsione e rimpatrio degli immigrati irregolari".
Il capogruppo del Pd al Parlamento europeo, David Sassoli, considera la sentenza "una debacle in piena regola". "Ancora una volta l’Europa, in presenza di scelte demagogiche, è costretta a intervenire per ribadire i principi di solidarietà e di difesa dei diritti delle persone. Il governo adesso dica cosa intende fare degli oltre tremila cittadini extracomunitari detenuti illegalmente e che hanno ingolfato la macchina della Giustizia".
(28 aprile 2011)