Vale la pena credere nell’Europa? di Edoardo Riccio
Da quando, poco più di un mese, fa dissi su questo blog che ritenevo la radice dei nostri mali contingenti risiedesse prevalentemente in Europa e nei suoi nano-leader (Merkel in primis), in Italia abbiamo cambiato governo, abbiamo varato una manovra “lacrime e sangue”, siamo entrati ufficialmente in recessione e gli spread sui titoli del debito pubblico continuano a mantenersi tra i 450 e i 500 punti.
E’ stato inoltre raggiunto un ennesimo accordo pasticciato a livello europeo in cui nessun passo avanti è stato fatto nella direzione della risoluzione dei problemi di breve e lungo periodo, ma, per converso, si sono creati i presupposti per un ulteriore aggravamento della situazione di conflittualità tra i Paesi membri.
La mia domanda a questo punto è: ha fatto bene la Gran Bretagna a defilarsi, qualunque sia la motivazione contingente che l’ha portata in questa direzione? E ancora: ma ha senso essere europeisti ad ogni costo?
A mio avviso un ragionamento approfondito in tal senso va affrontato senza pregiudizi, per una serie di considerazioni. Il progetto originario (implicito o esplicito) era di arrivare alla costituzione degli Stati Uniti d’Europa, ovvero ad una federazione o confederazione dotata di istituzioni democratiche gerarchicamente superiori a quelle dei singoli Stati nazionali, in grado di governare nell’interesse del continente intero e non di singole comunità nazionali. In questo senso e solo in questo senso l’introduzione dell’Euro ha o avrebbe avuto un senso. L’Euro ha creato un legame molto più forte tra gli stati membri di quanto non fosse fatto dal solo mercato unico e ha tolto agli stati la leva fondamentale della politica monetaria (e della svalutazione). Dall’Euro avrebbe quindi dovuto discendere molto rapidamente un’unione fiscale, regole minime comuni sul mercato del lavoro, una politica economica integrata. Ma condicio sine qua non per fare tutto questo, avrebbero dovuto crearsi delle istituzioni europee vere, democraticamente eleggibili, in grado di rappresentare, nel loro operato, i cittadini europei e non, in modo molto disomogeneo, i cittadini degli Stati membri.
Viceversa, come ha detto il premier polacco nel suo discorso al Parlamento Europeo, l’Europa è oggi molto vicina al baratro. Non essendovi istituzioni democratiche europee, i singoli Stati sgomitano per far prevalere nelle decisioni europee i propri interessi individuali. E si badi bene, non solo interessi individuali di tipo elettorale (es. no agli eurobond per non irritare l’opinione pubblica tedesca), ma anche interessi individuali di egemonia e predominio, industriale in primis (es. forzare singoli Stati a vendere aziende strategiche i cui acquirenti potrebbero essere aziende dei Paesi dominanti con impatti sulle filiere produttive). La litigiosità cresce di giorno in giorno perché nessuno, nel formulare proposte o scelte, ragiona per il bene dell’Unione tutta, ma per il bene di singoli Stati all’interno dell’Unione. Fino al punto che le stesse manovre imposte alla Grecia o all’Italia (questa non è la manovra Monti, ma è la manovra che Merkel e Sarkozy hanno imposto a Monti nel primo incontro avuto a Bruxelles) e, appunto, il recente pasticciato accordo della scorsa settimana rispecchiano gli interessi Tedeschi di brevissimo termine e non quelli comunitari. Quale è infatti il razionale, in questo momento, di varare riforme marcatamente recessive se non quello di tranquillizzare l’elettorato tedesco sul fatto che l’Euro e l’Europa non siano per loro un pericolo? Quale è infatti il razionale per obbligare i Paesi al pareggio di bilancio e definire un vincolo burocratico in virtù del quale le manovre dovranno ora passare al vaglio della Commissione prima di essere approvate?
Il problema è che servissero solo queste norme a tranquillizzare i Tedeschi, potrei anche capire. Ma queste norme hanno anche delle ripercussioni non trascurabili. Per quanto tempo i singoli popoli saranno disposti a lasciarsi imporre manovre finanziarie da Governi di altri popoli, soprattutto laddove queste manovre si trasformassero, per i popoli che le subiscono, in pure rinunce senza alcuna speranza di ripresa? Gli Italiani accetteranno un ulteriore indurimento qualora nel 2012 la recessione rendesse irraggiungibile il fatidico pareggio di bilancio del 2013 (e sì perché nessuno ha detto che la tenuta del nostro debito pubblico dipende dal pareggio al 2013 piuttosto che al 2014)? E gli Spagnoli? E gli Irlandesi o i Portoghesi?
Se vogliamo guardare il problema con obiettività, abbiamo due strade di fronte: la prima è quella di creare rapidamente una vera Europa unita, la seconda è quella di tornare rapidamente ognuno per la sua strada. E per noi elettori e osservatori la posizione non può che trasformarsi in: se credi che nell’arco di un paio d’anni si possano creare presupposti forti per gli Stati Uniti d’Europa allora sii europeista, ma se non lo credi sii fortemente anti-europeista. Perché a mio avviso l’unica cosa certa è che senza gli Stati Uniti d’Europa, l’Europa e l’Euro prima o poi crolleranno, e il crollo sarà tanto più cruento (con scenari di guerra inclusi) quanto più i legami che avremo creato saranno stretti e quanto più, di conseguenza, ci saranno Stati forti (ad esempio Germania) che avranno da perdere dal distacco e, magari dal default, di Stati più deboli.
Pubblicato su http://edoardoriccio.ilcannocchiale.it