Il diritto allo studio è in pericolo
Il diritto allo studio è in pericolo: a dirlo sono i fatti e le ultime misure adottate dal Governo. Nessun catastrofismo, tanto meno voglia di creare inutili tensioni, ma la scuola pubblica è minata nelle sue fondamenta e tutti dobbiamo cominciare a riflettere su questo punto, a maggior ragione in un momento di grande crisi economica, che rischia di farci rimanere più poveri.
Il Governo ha avviato un disinvestimento che riguarda sia gli organici sia le revisioni ordinamentali (tutte tese al risparmio), ma anche una riduzione dei finanziamenti diretti alle scuole da parte dello Stato, l’innalzamento dell’obbligo di istruzione verso la formazione professionale e l’apprendistato, che oltre ad essere a sua volta un impoverimento sul piano della qualità dell’offerta formativa, è un’ulteriore occasione di risparmio per addossare poi alle regioni i costi di un avviamento precoce al lavoro, di scarsa qualità anche rispetto alle richieste formative del mondo produttivo.
In particolare, per quanto riguarda gli organici, il Governo fa lo slalom cercando di far credere che non ci siano tagli, vedi la pantomima del tempo pieno, ma è evidente che i tagli ci sono eccome, sono lineari, dunque senza valutazioni demografiche e sociali, anche se il sistema si comporta in modo diverso nelle varie parti d’Italia. E poi la messa a rischio delle scuole materne, la scuola media a 30 ore (non più a 33), il tempo prolungato a 36 solo se restano risorse (quasi mai); e ancora la diminuzione degli orari nelle superiori, il ritorno alle “pluriclassi” nella scuola dell’obbligo e l’attacco alle scuole di montagna, che devono essere bilanciate con il numero degli alunni delle classi nei centri urbani. Infine, ma non ultimo per rilevanza, il quasi totale annullamento delle risorse per le borse di studio, la soppressione del contributo statale per i libri di testo e la pratica di alcune regioni che offrono voucher maggiori per la frequenza alle scuole private/paritarie, rispetto alla frequenza verso quelle statali.
Cosa fare dunque? Innanzitutto l’autonomia scolastica è l’occasione per costruire un sistema formativo territoriale che regoli il rapporto domanda e offerta, tenendo presente che l’offerta non è di puro servizio al cliente, ma di sostegno al cittadino, come ci ricordano i principi contenuti nell’articolo 3 della Costituzione, che punta allo sviluppo della persona attraverso la rimozione degli ostacoli di ordine economico e sociale. E dunque con una istruzione di qualità garantita dallo Stato. Inoltre, per quanto riguarda il personale, va prevista una adeguata spesa dello Stato, una gestione funzionale delle regioni e delle realtà locali, con organici a livello di istituto scolastico, in collaborazione con altre agenzie formative locali. Infine, attraverso il tanto sbandierato federalismo fiscale, di cui però si sono perse le tracce, andrebbero garantiti livelli essenziali delle prestazioni (che non sono i livelli minimi del Governo) e costi standard per determinare il concorso degli investimenti.
Dopo anni in cui la scuola è stata dimenticata nella discussione pubblica, gli obiettivi fondamentali di ridare valore alla scuola e rendere effettivo, per tutti, il diritto allo studio richiedono una grande mobilitazione: una mobilitazione che già da questi giorni deve puntare diritto a settembre e all’autunno. In Italia è sempre più urgente una grande mobilitazione pacifica e democratica che metta al centro dell’agenda politica, ad ogni livello, la centralità della formazione e della ricerca, il diritto e la qualità dello studio, nonché dei luoghi in cui esso si attua.
Thomas Casadei
Consigliere Regionale Emilia-Romagna Gruppo Consiliare PD