Governo Monti e Articolo 18. Casadei e Mumolo: “Provvedimento sbagliato e fuorviante. La questione centrale è generare nuova occupazione, non licenziare con più facilità”
“L’articolo 18 non è l’ostacolo che impedisce la ripresa economica dell’Italia. Modificarlo nel modo proposto dal Governo Monti significa solo ridurre i diritti dei lavoratori e voler marginalizzare il ruolo del sindacato”. Lo affermano in una nota congiunta i consiglieri regionali del Partito Democratico Thomas Casadei e Antonio Mumolo.
“Sul tema del lavoro ogni opinione è legittima – dicono i consiglieri – ma non si possono dire cose false per giustificare un provvedimento che nulla ha a che fare con la crisi economica. Apprendiamo oggi che il Governo, a fronte del sostanziale depotenziamento dall’art. 18, proporrebbe due interventi migliorativi delle tutele esistenti e cioè:
1) l’estensione alle imprese sotto i 16 dipendenti dell’istituto della reintegra in ipotesi di licenziamento discriminatorio;
2) la previsione secondo cui i contratti a tempo determinato non potranno essere reiterati per più di 36 mesi, convertendosi, oltre tale limite temporale, in contratti a tempo indeterminato.”
“Una cosa balza agli occhi – sottolineano Casadei e Mumolo – queste norme esistono già nel nostro ordinamento! Infatti l’art. 3 della legge 108/90 già prevede che: “Il licenziamento determinato da ragioni discriminatorie (…) è nullo indipendentemente dalla motivazione addotta e comporta, quale che sia il numero dei dipendenti occupati dal datore di lavoro, le conseguenze previste dall’art. 18 della legge 20 maggio 1970, n. 300”. Inoltre l’art. 5 comma 4 bis del Dlgs. 368/01 già prevede che: “qualora per effetto di successione di contratti a termine per lo svolgimento di mansioni equivalenti il rapporto di lavoro tra lo stesso datore di lavoro e lo stesso lavoratore abbia complessivamente superato i 36 mesi comprensivi di proroghe e rinnovi, indipendentemente dai periodi di interruzione che intercorrono tra un contratto ed un altro, il rapporto di lavoro si considera a tempo indeterminato”
“Il tema dell’articolo 18 – proseguono i consiglieri – continua ad essere trattato con grande approssimazione e nei cittadini si sta creando la falsa impressione che in Italia sia pressoché impossibile licenziare, come se questo, peraltro, fosse il modo per superare la crisi: una illusione fondata su un clamoroso errore. Occorre ripeterlo ancora una volta: l’articolo 18 è solo una norma che sanziona il comportamento illegittimo del datore di lavoro, e cioè di aver licenziato senza giusta causa o giustificato motivo. Una illegittimità, ribadiamolo, che deve essere accertata dalla magistratura. Il licenziamento per motivi economici, ivnece, esiste già in Italia dal 1966 ed è in particolare previsto dall’art. 3 della legge 604/1966 che recita: “Il licenziamento per giustificato motivo con preavviso è determinato da un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali del prestatore di lavoro ovvero da ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa.”
“Per questo – concludono Casadei e Mumolo – invitiamo il Partito Democratico a lavorare perché la discussione non resti incagliata ad una ragione pretestuosa e a non sostenere un provvedimento sbagliato nei contenuti e portato avanti con metodi sbagliati. Non si può cedere e concordiamo pienamente con il responsabile. del Forum Lavoro del PD di Bologna Stefano Borgatti. Già con le pensioni si è fatto uno sforzo straordinario, approvando punti che non si condividevano: questa volta non si può davvero. La priorità per il paese è attivare politiche economiche che rafforzino uno sviluppo di qualità e valorizzino il lavoro, con metodi e forme di concertazione che non possono essere accantonate: lo sostenevamo quando governavano Berlusconi e Sacconi, lo sosteniamo con la stessa convinzione oggi”.
Quanto sta accadendo deve fare riflettere: il PD ha dimostrato senso di responsabilità con la riforma delle pensioni approvando punti che non condivideva pienamente per il bene del Paese, ma il senso di responsabilità deve avere un limite………….. adesso occorre veramente lavorare e, come dite voi, “non sostenere un provvedimento sbagliato nei contenuti e portato avanti con metodi sbagliati”. Un metodo che mette a rischio la stessa democrazia……………
Buon lavoro
Per me Monti rappresenta l’incarnazione della politica dei due tempi cara al vecchio pentapartito. L’opzione è questa: Rivolti ai lavoratori e pensionati “la situazione di crisi impone di fare sacrifici oggi per avere vantaggi domani” solo che la prima fase; i sacrifici” arriva subito magari per decreto e la fase dei vantaggi non arriva mai. Inoltre perché mai devono essere sempre e soltanto i lavoratori e o pensionati a pagare per situazioni di crisi di cui hanno una minima responsabilità????
Non sono d’accordo sul comunicato, nel merito e nel metodo.
Se si vuole un dibattito all’interno del partito tutte le posizioni devono ritenersi legittime ed il tacciarne una parte come basate su di un pretesto, non risponde all’apertura ed all’onestà intellettuale che si persegue.
L’art. 18 era stato concepito nel disegno di legge molto diverso da come é stato licenziato 40 anni fa dal Parlamento.
La formulazione che troneggia nel nostro ordinamento, condizionandolo sensibilmente, é un’esperienza unica nello Spazio Economico Europeo e di questo non si può non tenere conto in un mercato comune ed in un contesto di globalizzazione, posto che le imprese non si impongono, ma si costituiscono e si portano avanti ogni giorno, con responsabilità, rischi e fatica, termini spesso ignoti a chi é impegnato in ruoli amministrativi o politici.
Chi ha esperienza di impresa sa che l’art.18 é all’origine di molte soluzioni fantasiose tese a mantenere sotto la soglia numerica dei 15 dipendenti i dipendenti dell’impresa, con quanto ne consegue circa il sottodimensionamento e visione prospettica di crescita che viene meno.
Manca certezza del diritto poiché la discrezionalità del giudice é elevata.
Altrettanto elevato l’impatto economico in caso di soccombenza ed inutile un appello, quando il sistema prevede la provvisoria esecuzione della sentenza e rinvii di prima udienza a distanza di anni dal radicamento della causa.
Chi sentenzia che l’ingresso e l’uscita dal lavoro, con ciò riferendosi all’art. 18, sono argomenti artificiosamente collegati dal Governo Monti dice cosa doppiamente scorretta.
In primo luogo é sbagliato parlare di art. 18 con riferimento a “uscita” dal lavoro, perché il caso é quello di cessazione di un rapporto e non di uscita per sempre dal mondo del lavoro.
In secondo luogo perché soltanto con la certezza degli effetti che conseguono ad un licenziamento, l’impresa é in grado di pianificare l’attività, senza la quale di lavoro non si potrà più parlare, se non con riferimento ai tanti giovani che lo trovano all’estero.
Gentilissima,
nel comunicato abbiamo semplicemente detto che tutte le opinioni sono legittime, ma per sostenerle non si possono dire cose false, come quelle affermate ai punti 1 e 2 del comunicato stesso.
Oggi tutti convengono che quelle affermazioni erano false.
Lei sostiene che il datore di lavoro deve avere certezza rispetto ad un licenziamento, ma se adduce un motivo falso o inesistente, se contesta al lavoratore un comportamento mai avvenuto, se accampa un pretesto mentre il reale motivo è discriminatorio cosa dovrebbe accadere?
Ci sono alcuni che dicono che il licenziamento dovrebbe essere comunque valido e il datore di lavoro dovrebbe solo pagare una penale.
Ci sono altri che dicono che se il motivo del licenziamento è falso o inesistente o pretestuoso (ed un giudice lo riconosce come tale) il lavoratore dovrebbe avere diritto a scegliere se rientrare al lavoro o richiedere un risarcimento economico.
La questione è tutta lì e, lo ripetiamo, ogni opinione è legittima. E, per quel che ci riguarda, noi ribadiamo con grande convinzione la nostra.
Thomas Casadei