"Le mie nonne, l’8 marzo e un impegno quotidiano" di Thomas Casadei
Nella sfera pubblica e politica gli uomini, o forse meglio la maggioranza degli uomini, tendono ad occupare molto spazio, usano i loro codici, i loro linguaggi, le loro immagini: a volte comuni e condivisi, altre volte impastati di un sessismo, più o meno consapevole, anche a prescindere dallo schieramento politico.
Non ascoltano molto, da qualche decennio però una parte di loro si sforza di più.
Per gli uomini invece è importante ascoltare, ascoltare davvero, con cura, con dedizione. Anche in manifestazioni come queste. Ascoltare è un gesto che può avere grande forza, specie se aiuta a far cadere immagini fuorvianti, che deformano. L’ascolto a volte è un’azione molto radicale.
In manifestazioni come questa di oggi è importante che gli uomini ci siano, che ascoltino e, se prendono la parola, che lo facciano dando voce, esprimendo prospettive comuni, di donne e di uomini.
Le mie parole sono frutto dell’ascolto di due donne; sono espressione della loro testimonianza di vita, fatta soprattutto di gesti concreti, prima che di parole.
Le donne che ho ascoltato sono due donne che mi fanno ancora compagnia: si chiamano Norma e Giuditta. Classe 1922 e classe 1924, due donne diverse, con ideali comuni, due donne del secolo passato che nel presente sarebbero, sono, qui con noi, in questa piazza, condividendo il senso e gli intenti della manifestazione, la sua semplicità e forza.
Avevano la licenza elementare, amavano leggere e informarsi.
Non avevano avuto la possibilità di studiare, ma invitavano allo studio e alla serietà nell’impegno scolastico.
Avevano conosciuto il duro lavoro, quello sotto “il padrone”, quello senza dignità e diritti, per questo si batterono, in modi diversi – nella fabbrica e nella “bottega” – perché il lavoro fosse sempre svolto nel rispetto delle persone, chiunque lo svolgesse.
Avevano conosciuto la violenza quella vera – delle botte e insieme delle parole – per questo educavano alla convivenza pacifica e alla mitezza. Non sopportavano le grida, le urla, gli schiamazzi inutili.
Erano vissute nel ventennio della brutalità maschile – quella brutalità che ancora oggi in certi palazzi si pratica e che addirittura si vuole legittimare tramite il ‘dio denaro’ – per questo pretendevano rispetto e parità, come cittadine e come donne.
Erano cresciute quando iscriversi ad un partito o ad un sindacato era proibito, dove bisognava stare al posto in cui altri ti mettevano, per questo amavano la libertà, nelle scelte e nella vita. Si schieravano, in pubblico.
Non erano dedite al martirio femminile o alla retorica della “piacevole sottomissione”, nelle situazioni difficili si rimboccavano le maniche, anche quando gli uomini cari erano lontani o purtroppo non c’erano più.
Non erano puritane, gradivano la bellezza della vita, da coltivare sempre nel rispetto delle persone, delle donne e degli uomini.
Sapevano e insegnavano quanto il corpo fosse solo parte dell’esistenza, non l’esistenza, per questo amavano il decoro e avevano a cuore la salute.
Erano donne come tante ce ne sono state nella storia, nel Novecento, nell’epoca della Repubblica italiana nata dalla Resistenza.
Difendevano la loro dignità con forza, e per questo si sono sentite oltraggiate da personaggi che hanno fatto in tempo a vedere dagli schermi della televisione per quasi un decennio.
Hanno sempre auspicato un’Italia immagine e specchio della donna dedita al bene comune, ma anche degli uomini per bene, i “galant’oman”. Garbate e fiere, credevano nella cittadinanza, una cittadinanza costruita insieme da uomini e donne. Non si rassegnavano, anche nei momenti più difficili.
Ai loro occhi era possibile far vincere la speranza.
Grazie a Norma e Giuditta, le mie nonne, che mi hanno insegnato che i valori dell’8 marzo vanno messi in pratica ogni giorno dell’anno.
di Thomas Casadei
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