AUSL UNICA ROMAGNOLA: la via da seguire
Nel dibattito avviatosi di recente sul tema del rapporto tra le Aziende sanitarie presenti sul territorio romagnolo, con particolare riguardo alla possibile integrazione tra quelle di Forlì e Cesena, credo sia opportuno partire da alcune considerazioni frutto di un’analisi oggettiva e, soprattutto, che guardi al futuro.
Le AUSL di Forlì, Cesena, Ravenna e Rimini – quelle che definiscono la cosiddetta “Area vasta” – oggi producono attività per un valore di circa 2,2 miliardi di euro impiegando quasi 15.000 dipendenti. I presidi ospedalieri presenti sul territorio romagnolo sono attualmente 14, di cui naturalmente quelli di Forli, Cesena, Ravenna e Rimini costituiscono i principali. Come è riconosciuto da statistiche e appositi sistemi di valutazione, la qualità dei servizi delle quattro Aziende è molto buona. A tal proposito, proprio in questi giorni, l’Osservatorio della Federazione Italiana dell’Aziende Sanitarie e Ospedaliere ha inserito nel “Libro Bianco della buona sanità” ben 8 progetti delle AUSL romagnole, due dei quali riguardano il Laboratorio Unico di Area Vasta di Pievesestina, riconoscendoli come esperienze da esportare in tutta Italia.
Per mantenere, e anzi migliorare ancora, questi servizi, valorizzare l’apporto dei professionisti e sfruttare al meglio tecnologie e investimenti è divenuta una scelta non più rinviabile ridurre i centri di costo attraverso azioni di scala, e rafforzare le gestioni in rete per patologie e prestazioni legate a specifici bisogni, azioni che già diverse regioni e territori in Italia hanno già intrapreso.
Le quattro AUSL romagnole prese singolarmente risultano di dimensioni modeste in termini di bacino di utenza, condizione questa che spesso compromette la possibilità di implementare con efficacia ed efficienza peculiari specializzazioni sanitarie che richiedono elevata professionalizzazione e innovazione tecnologica, se non ricorrendo ad una considerevole mobilità di pazienti da altre Aziende.
E’ per queste ragioni che occorre, da subito, avviare un processo di unificazione su scala romagnola. Certo su un bene fondamentale come la salute dei cittadini non ci si possono permettere disfunzioni, ma tale percorso di riorganizzazione va avviato e la politica, quella che intende costruire futuro, non può avere tentennamenti. Servono coraggio e responsabilità, specie in una fase in cui la qualità dei servizi rischia di essere messa in discussione dalla tenuta complessiva del sistema.
La complessità di questo progetto di Ausl unica romagnola non riduce i notevoli vantaggi in termini di efficienza ed efficacia che esso certamente creerebbe: riduzione dei costi di produzione per maggiori economie di scala; ottimizzazione valorizzazione delle professioni sanitarie e mediche e delle strumentazioni altamente specializzata che garantiscono anche il miglioramento della appropriatezza delle cure, principio ordinatore delle politiche in materia sanitaria.
Sotto questo profilo, un’Azienda Unica Romagnola, se da un lato, deve quindi prevedere aggregazioni e unificazioni di servizi ospedalieri organizzati per intensità di cura e diffusi a rete sui territori, dall’altro, deve anche prevedere uno sviluppo della medicina territoriale.
Il principio dovrebbe essere quello della concentrazione dei servizi ospedalieri di eccellenza, che richiedono alte specialità e tecnologie, nonché delle funzioni logistiche, amministrative e direzionali, e al contempo la diffusione sul territorio della “medicina di base” e dei servizi sanitari di maggior utilizzo da parte della popolazione sempre più integrati con quelli socio-sanitari e sociali, ad esempio attraverso il consolidamento dei Nuclei delle cura primarie, delle Case per la salute e l’adozione di nuovi approcci per la promozione della salute ispirati ai principi della medicina di iniziativa come il “Cronic Care Model” per la cura delle malattie croniche.
In questo modo nell’Azienda unica romagnola determinate sarebbe il ruolo dei Distretti, che rappresenterebbero le articolazioni dell’Azienda sanitaria su dimensioni territoriali ottimali in cui ricercare l’equilibrata diffusione dei servizi sanitari e socio- sanitari in base ai bisogni reali delle popolazioni attraverso un’attenta funzione di governo e un rinnovato ruolo di controllo delle amministrazioni locali.
Non è tempo di temporeggiare: è questa una frontiera che va attraversata se si hanno a cuore la salute dei cittadini romagnoli, la qualità dei servizi sanitari e socio–sanitari e l’equilibrio economico-finanziario del Sistema Sanitario italiano, uno dei migliori al mondo.
Thomas Casadei, consigliere regionale PD