Contro la schiavitù dei migranti
Nei giorni in cui in Italia decine di migliaia di lavoratori stranieri tentano la regolarizzazione attraverso il nuovo decreto flussi, il sindacato internazionale lancia una campagna globale contro la riduzione in schiavitù dei migranti più vulnerabili, tra i quali i nepalesi che vanno a lavorare, a volte a morire, nei ricchi paesi del Golfo.
Si contano oggi circa 6 milioni di lavoratrici e lavoratori usciti legalmente dal Nepal. In Bahrain, negli Emirati Arabi e nel Qatar ce ne sono circa 700 mila e vengono occupati nell’edilizia, nella sanità e nel lavoro domestico.
Gli abusi e le vessazioni che subiscono e che restano impunite sono tali da avere spinto il sindacato internazionale ITUC e l’organizzazione non governativa Anti-Slavery International a denunciare condizioni di schiavitù e ad avviare una campagna di sensibilizzazione contro il lavoro forzato. L’obiettivo è fare pressione sia sui governi dei paesi di destinazione sia sul governo nepalese affinché regolino insieme la mobilità del lavoro attraverso agenzie di reclutamento controllate e certificate.
La campagna mira anche a riformare le leggi che impediscono la libertà di associazione sindacale e la contrattazione collettiva per gli immigrati nei paesi del Golfo. Particolarmente penalizzante, poi, è il sistema che trasforma gli stranieri rimasti senza lavoro in khalliballi, lavoratori senza status né diritti, quelli che in Italia si chiamerebbero “clandestini”, perciò più facili da ricattare e sfruttare.
Il sindacato è molto critico anche sulla formula dello sponsor, kafala, molto diffuso in Baharain, perché lega il migrante in modo esclusivo a un solo datore di lavoro senza la possibilità di cercare e ottenere un occupazione diversa, pena l’espulsione dal paese.
Il documentario che segue, The cost of living, è stato realizzato per la campagna ed è ricco di storie, alcune molto toccanti, come quelle delle domestiche morte per le violenze subite e rimandate a Kathmandu dentro le bare. Ma propone anche strategie e soluzioni, come il migliore coordinamento tra i sindacati dei paesi di origine e quelli dei paesi di destanzione, per assicurare il rispetto dei diritti fondamentali ai migranti e impedire che cadano nelle reti del lavoro schiavistico.
Vittorio Longhi