Cultura e creatività: infrastrutture fondamentali su cui puntare per uscire dalla crisi. Una ricerca della Regione Emilia-Romagna lo conferma.
Puntare sulla centralità delle competenze, promuovere il lavoro giovanile, investire su creatività e innovazione, modernizzare la gestione dei beni artistici e culturali e avviare politiche fiscali capaci di sostenere l’attività culturale stessa. Sono le cinque priorità contenute nell’appello “Ripartire dalla cultura”, in cui si chiede a chi si candida per governare l’Italia nei prossimi anni di assumere precisi impegni programmatici per il rilancio della cultura e del paese.
Ho sottoscritto con piena convinzione l’appello, perché credo che la promozione della produzione creativa e della fruizione culturale, nonché la tutela del nostro straordinario patrimonio artistico, uniti al sostegno all’istruzione, all’educazione e formazione permanente, alla ricerca e alla valorizzazione delle conoscenze, siano il volano attraverso il quale far ripartire il nostro Paese e non semplici aree o “categorie” da tagliare con l’accetta o sulle quale risparmiare a priori come è stato purtroppo per troppo tempo.
È infatti opinione piuttosto diffusa che l’economia e le attività culturali siano termini dissimili, se non addirittura antitetici. Da un lato si pensa che l’arte, nella sua concezione più generica (performativa, visiva o plastica), non possa essere analizzata con gli strumenti dell’economia; dall’altro si tende a pensare al patrimonio storico e artistico – quando va bene – sotto il profilo della sola conservazione e non della sua valorizzazione economica. Eppure nel nostro Paese le cifre ci raccontano un’altra storia: 14 mila sono le associazioni culturali nelle quali ogni anno vengono organizzati 2 mila festival, inaugurate 10 mila mostre, organizzate 41 mila manifestazioni all’aperto e allestiti, secondo dati SIAE, 141 mila spettacoli. Se non bastasse, l’Italia è il primo paese al mondo per numero di siti iscritti nel Patrimonio mondiale UNESCO (47 su 936) e, nel 2005, il secondo esportatore mondiale di design, con una quota di mercato globale dell’8,3%.
Vi sono varie ragioni che mi portano a credere che sia necessaria una rivoluzione nel rapporto tra sviluppo e cultura, includendo in questo ultimo termine l’educazione, l’istruzione, la ricerca scientifica, la conoscenza e l’arte.
Prima di tutto si tratta di un settore con una forte rilevanza economica e occupazionale, in grado di produrre reddito: l’incidenza diretta sull’intero sistema produttivo italiano va ben oltre il 2%. Vi è poi una ricaduta positiva sul turismo, la cui componente culturale (soggiorni in città d’arte, partecipazione a festival o spettacoli, visite al patrimonio artistico e museale) caratterizza un crescente flusso di visitatori.
In secondo luogo, la cultura è il settore dinamico per eccellenza: secondo i dati OCSE, negli anni duemila in Europa la produzione del settore creativo e culturale sarebbe cresciuta più di quello manifatturiero.
Infine, in terzo luogo, credo che la cultura abbia un ruolo determinante di consolidamento della sfera pubblica democratica, in grado di valorizzare stabilmente i saperi e di costruire una cittadinanza partecipe e attenta. L’offerta culturale, che non deve essere ridotta a mera fruizione consumistica, contribuisce infatti alla crescita umana e genera allo stesso tempo un ambiente sociale più ricco e attrattivo.
In Emilia-Romagna l’industria culturale e creativa è stata oggetto di un’interessante ricerca dal titolo “Emilia-Romagna: cultura, creatività e territorio”, realizzata da Ervet in collaborazione con l’Osservatorio dello spettacolo, per l’assessorato regionale alla Cultura. E anche in questo caso, i numeri parlano di un settore vivace e in continua espansione. Secondo dati del 2009, risultano attive 524 imprese nello spettacolo dal vivo (società, cooperative, fondazioni, associazioni teatrali, musicali e di danza), cui vanno aggiunte 154 imprese di produzione nel settore musicale, altre 136 imprese che operano nella produzione cinematografica e audiovisiva e quelle che gestiscono gli oltre 240 esercizi cinematografici (460 schermi complessivi). Dai dati Enpals 2009, si può stimare che il personale addetto a queste attività sia nell’ordine degli oltre 11 mila addetti, che arrivano a 15 mila se si considerano anche le forme di collaborazioni a progetto per varie mansioni tecnico-operative. Sul fronte degli spettacoli dal vivo, infine, per il periodo 2004-2009, il numero di spettatori in regione è aumentato del 17% mentre in Italia è cresciuto dell’8%. A fronte di questi numeri, la Regione ha approvato il “Programma regionale in materia di spettacolo” che fissa a 18 milioni di euro gli investimenti per il triennio 2012-2014. Investire in cultura e in attività intellettuali e legate al benessere e alla qualità della vita, significa investire anche in settori dal concreto impatto in termini occupazionali, di lavoro e impresa, nonché di valorizzazione dei territori.
Quello che serve dunque è soprattutto un cambiamento nella visione complessiva della società, dell’economia, della pubblica amministrazione, del mondo dell’associazionismo e delle imprese culturali. Guardare al futuro significa credere nel valore pubblico della cultura, nella sua capacità intrinseca di produrre senso e comprensione del presente, nelle sue potenzialità di creare identità, inclusione, democrazia ma anche uno sviluppo economico di qualità (imperniato sul “ben essere”). La cultura, insieme all’ambiente, è la vera infrastruttura da tutelare e valorizzare.
Sono convinto che la cultura debba tornare al centro dell’azione di governo, diventando la nostra guida al cambiamento. Solo investendo sulla capacità di produrre nuova conoscenza e innovazione si può rigenerare speranza e gettare le basi per realizzare un futuro di equilibrata prosperità economica e sociale, nessuno escluso.