Intervista a Sauro Mattarelli sulla Provincia unica di Romagna
Intervista a Sauro Mattarelli pubblicata su “La Voce di Romagna” il 10/9/2012
La provincia unica arriva, e non vogliamo farci trovare impreparati. Per questo iniziamo ad interpellare personaggi e personalità del territorio. Iniziamo dal mondo della cultura con Sauro Mattarelli. Sauro Mattarelli è presidente della Fondazione “Casa Oriani” di Ravenna, ne dirige la pubblicazione degli annali “I Quaderni del Cardello”. Fa parte del comitato di direzione della rivista di storia contemporanea “Memoria e Ricerca” e ha lavorato con istituti culturali e università italiane e straniere. Membro di varie accademie e associazioni europee, collabora a quotidiani e a riviste ed è autore di testi scolastici, tutti pubblicati con le edizioni Mondadori. Dal 1997 al 2004, è stato direttore responsabile del trimestrale “Il Pensiero mazziniano”. Dalla sua attività di saggista si menzionano i testi più recenti: la Postfazione al Giuseppe Mazzini. La politica come religione civile di Roland Sarti (Laterza), La gatta rossa, Romagna graffiti; Dialogo sui doveri. Il pensiero di Giuseppe Mazzini (Marsilio), e, presso FrancoAngeli: Il senso della repubblica. Frontiere del repubblicanesimo; Il senso della repubblica. Doveri; Fra Libertà e Democrazia. L’eredità di Tocqueville e J. S. Mill (cura, con D. Bolognesi), Il senso della repubblica. Schiavitù (cura con T. Casadei); L’illuminismo e i suoi critici (cura con D. Bolognesi).
Che quadro si è fatto della questione “provincia unica di Romagna”?
“Mi sono sempre battuto per l’abolizione delle provincie (e per la riduzione del numero delle regioni). Questa premessa per chiarire la mia visione della Romagna: quella di una città metropolitana. Perché la Romagna andrebbe gestita con una serie di servizi che sarebbero molto più efficienti se si concepisse questo territorio come una città. Mi riferisco al tema dei trasporti, in senso lato, da quelli portuali a quelli aeroportuali (problema purtroppo colpevolmente irrisolto); dal sistema stradale a quello ferroviario. Soprattutto quest’ultimo. Se buttiamo un occhio alla storia del primo ‘900 i collegamenti tra le città romagnole erano pensati in modo più funzionale di oggi. Una concezione che avrebbe potuto dar vita a un reticolo infrastrutturale, fondamentale per lanciare la Romagna come città ma anche come polo culturale (e turistico) di altissima valenza: non solo schiacciato sul mare e sulle spiagge.
Il tema della provincia unica mi ha comunque fatto piacere. Sono perfettamente consapevole che non si sarebbe realizzata se non ci fosse stata la scelta del governo… Sarebbe rimasta una sorta di utopia; invece oggi può diventare uno strumento per realizzare progetti. Alcuni esempi pratici: il sistema bibliotecario romagnolo: tre o quattro anni fa, prima che si parlasse di provincia unica, abbiamo dato vita a una “rete delle case degli scrittori romagnoli”. Su alcune tematiche si agisce in sintonia e in sincronia, con convegni e itinerari proposti insieme da casa Oriani, casa Pascoli, casa Saffi, casa Serra, casa Monti, casa Moretti… Questo sistema ha consentito di offrire proposte culturali a costi relativamente molto bassi, perché il contributo richiesto era di poche centinaia di euro per ogni associazione. E in tempi di ristrettezze economiche ha dato anche buoni frutti. Ma, tornando a noi il tema del collegamento infrastrutturale, dell’uscita dall’isolamento, per me resta centrale ed essenziale”.
Le idee non camminano senza le strade, insomma…
“E soprattutto senza i collegamenti pubblici efficienti. Sto parlando di metropolitana di superficie, di treni appena decenti, ma anche di banda larga. E per essere razionale un servizio pubblico non può che essere almeno romagnolo e non può non collegarsi razionalmente col resto del paese e del mondo”.
Che ne pensa, entrando nello specifico, di quella parte di territorio, o almeno di quegli amministratori, che sono sembrati molto riluttanti all’unione delle provincia?
“Qui divento un po’ polemico, perché il tema dei campanilismi, delle distanze pseudoterritoriali, sono spesso mere questioni di poltrone; di posti, o di rendite di posizione. Sono, cioè, costruzioni artificiose, talvolta inventate da politicanti di serie B, incolti, altre volte costruiti da gruppi di interesse che non hanno (o non vogliono avere) la dimensione complessiva del problema”.
“Poi c’è anche il problema delle “diverse velocità” (lo stesso che oggi assilla l’Europa): anche in Romagna le classi politiche e imprenditoriali (e non è una questione partitica) non appaiono sulla stessa lunghezza d’onda operativa: indubbiamente si riscontra maggior dinamismo (con i pregi e gli svantaggi che ne derivano) lungo l’asse della via Emilia…”
Che dire dell’identità umana e territoriale di questa Romagna?
“Se vai a definire la Romagna in termini strettamente geometrici, con squadra e compasso, entri in un labirinto di difficoltà. E la risposta è quella che diede Agostino rispetto al tempo: so che cos’è se non me lo chiedi. Esiste una concezione intima, interiore, rispettabile di questo territorio. È così che oggi puoi guardare all’Italia, all’Europa e addirittura vedere la Romagna specchiata anche in dimensioni mondiali insospettabili, dalle piane ungheresi ad alcuni territori americani: la vedi e la trovi in questi spicchi di territori lontani perché ce l’hai nell’animo, racchiusa dentro di te.
Quando diventi amministratore devi invece guardare ad aspetti ben definiti. E non si può più pensare ad una visione che era superata anche ai primi del ‘900, con città non collegate tra loro, magari rifugiandoci su ridicoli stereotipi del passato. Se sei un bravo amministratore devi razionalizzare le risorse e creare le migliori condizioni per il territorio che governi. E poi siamo seri. Un conto è l’aspetto folkloristico, che ci sta. Ma se questi aspetti, anche gradevoli sul piano culturale e storiografico, vengono artatamente applicati a questioni amministrative di oggi, viene commesso un falso. Sollevi un mito, a giustificazione di esigenze particolaristiche. È una operazione che culturalmente non mi appartiene. La mia posizione è abbastanza vicina a quella di Pier Giuseppe Dolcini: l’idea della Romagna intesa come città viva, non basata semplicemente su aspetti retrò e folkloristici (che vanno comunque studiati seriamente e non fatti oggetto di becero folklorismo). Sarebbe un po’ come ripetere l’operazione compiuta dalla Lega quando “ripescò” grossolanamente i “miti celtici” per giustificare una Padania che non c’era”.
Che dire allora della frase del suo amico Roberto Balzani: “È venuto il momento di trasformare questo patrimonio culturale in patrimonio amministrativo collettivo”?
“È una frase che sottoscrivo. Non si può amministrare senza avere una cultura del territorio. Ed è nella misura in cui possiedi la cultura che dovresti avere il passaggio etico di non strumentalizzarla oltre i limiti. Il problema è che il ricorso ai “miti celtici” è prodotto da persone incolte. L’amministrazione che produce una cultura va bene, benissimo. L’amministrazione senza cultura no. Nel mito della Romagna, quando va bene, ci sono solo gli stereotipi: il vino che viene offerto nelle case a chi chiede da bere, il liscio, la piadina. Valori che vengono banalizzati come marginalità se servono solo per essere strumentalizzati, se manca il retroterra, il contesto. La cultura è un’altra cosa.