Le arance di carta di Rosarno
Finti agrumeti e finti disoccupati: così si è retto ed è entrato in crisi un sistema
INVIATO A ROSARNO
Un registro spiegazzato nell’ufficio anagrafe del Comune è il filo per provare ad afferrare i fatti di Rosarno: 14.745 abitanti divisi in 5.049 famiglie e 150 stranieri residenti, più o meno il 5 per cento di quelli che vivevano qui fino a due giorni fa.
Come vivono le 5 mila famiglie di Rosarno? Da sempre grazie ai «giardini», i piccoli agrumeti che colorano la piana. A parte quattro o cinque latifondisti, la proprietà terriera è molto frazionata. Almeno 2.000 famiglie possiedono un appezzamento. Dimensione media: un ettaro. In tutto servono 3 mila braccianti. Fino a pochi anni fa, un ettaro di arance da industria (per fare i succhi) garantiva un reddito annuo di 7-8 mila euro: oltre alla vendita, c’erano i contributi europei legati alla quantità di agrumi commercializzati.
Le associazioni di produttori gestivano i contributi europei. Il contadino portava le arance alla cooperativa che poi le conferiva a un’associazione. Quest’ultima smerciava gli agrumi ai colossi alimentari e incassava i soldi dall’Ue. In questi passaggi, accadeva un «miracolo»: le arance si moltiplicavano, ma solo sulle fatture, per gonfiare i rimborsi. «Ne portavamo cento quintali e ne dichiaravamo cinquecento o anche mille», racconta un produttore. Le associazioni incassavano i contributi, ne giravano una parte irrisoria ai contadini (comunque felici per aver ottenuto più del dovuto) e trattenevano una quota significativa «per il disturbo».
Il business ingolosiva politica e cosche. Su tre associazioni di produttori, una era controllata dalla sinistra e l’altra era di estrazione Dc. Mentre la ‘ndrangheta stendeva la sua longa manus sui mercati ortofrutticoli. Grazie alle «arance di carta» come qui le chiamano, prosperavano anche tanti magazzini e industrie di trasformazione, che davano lavoro a 1.000-1.500 rosarnesi. Altri 2.000-2.500 campavano con un diverso stratagemma. L’Inps garantisce un sussidio ai braccianti disoccupati, purché abbiano lavorato almeno 102 giorni nell’ultimo biennio. In caso di calamità, bastano solo 5 giorni.
Dieci anni fa, c’erano tremila rosarnesi iscritti come braccianti disoccupati. In un terzo dei casi le assunzioni erano fittizie e servivano a riscuotere gli assegni statali: bastava un’autocertificazione e ogni anno piovevano 8 milioni di euro divisi in 2.500 persone, circa 3 mila euro a testa. Anche in questo caso il sistema si reggeva su una truffa. I contributi previdenziali non venivano versati, i finti braccianti facevano un altro lavoro e in campagna ci andavano gli immigrati, che costano la metà. Arance di carta e sussidi europei, lavoro di carta e assegni Inps, tremila pensionati e mille impiegati pubblici: così si sosteneva l’economia di Rosarno.
Negli ultimi anni, i pilastri del sistema hanno ceduto. La stretta dell’Inps ha ridotto i braccianti disoccupati a 1.200 e i relativi assegni da 8 a 2 milioni l’anno. E l’escalation delle truffe sui contributi ai produttori ha messo in allarme l’Ue. Nel 2004 otto persone finirono in galera per aver riscosso 600 mila euro di contributi illeciti: dei 250 camion di agrumi dichiarati ne erano partiti solo 12. Due anni fa, altri 45 arresti per un affare di 18 milioni di euro. Gli 11 milioni di chili di arance certificati? Mai esistiti. E le spremute d’arancia? Mai viste né bevute. Due anni fa sono cambiate le regole.
Oggi i rimborsi arrivano a forfAit: 1500 euro a ettaro a prescindere dalla produzione. Oltre alle «arance di carta», sono sparite cooperative, associazioni di produttori, magazzini e aziende di trasformazione. Ma contemporaneamente è crollato il prezzo di vendita degli agrumi: gli incassi non coprono più le spese, dunque oggi i contadini lasciano le arance sugli alberi. Rosarno, che fino a due anni fa aveva bisogno nei campi di 1.800 immigrati clandestini, oggi ne richiede solo alcune centinaia.
E bulgari e romeni, cittadini europei, sono più appetibili degli africani: se li assumi in nero, rischi multe più lievi. Così i mille neri degli accampamenti sono rimasti senza lavoro. Nei ghetti cresceva la tensione. Fuori, l’insofferenza per una comunità non più «funzionale» al sistema. È bastata una miccia per innescare l’esplosione. Ma una volta espulsi i neri, Rosarno non ha risolto i suoi problemi. Chi ha un posto pubblico, una pensione o un sussidio di disoccupazione se la passa sempre bene. I piccoli proprietari arrancano.
E i giovani fuggono: duemila solo negli ultimi anni, l’80 per cento delle nuove generazioni. Rosarno, da oggi, dovrà occuparsi di altri migranti. I suoi. E’ stato convalidato dal gip di Palmi l’arresto dei tre abitanti di Rosarno accusati di avere aggredito alcuni immigrati. Il provvedimento coinvolge anche Antonio Bellocco, figlio di un esponente di spicco della ‘ndrangheta, accusato di aver preso parte alle violenze.