L’Italia che verrà: Industria culturale, made in Italy e territori – I Quaderni di Symbola
PREMESSA
Ferruccio Dardanello – Presidente Unioncamere
Ermete Realacci – Presidente Symbola – Fondazione per le Qualità Italiane
Nell’attuale scenario economico, il legame identitario col territorio rappresenta per le nostre imprese un valore unico al mondo, il vero asset strategico dell’Italia su scala globale. L’impegno mostrato da una fascia sempre più ampia del tessuto produttivo italiano nel rafforzamento dell’identità e della riconoscibilità dell’offerta di beni e servizi come fattore competitivo testimonia un graduale – ma sempre più evidente – cambio di paradigma nello sviluppo. Al centro di tale trasformazione vi è un modello aziendale fondato sulla qualità, sulla creatività, sul giusto connubio tra innovazione e valorizzazione dei fattori e dei saperi locali, sul rispetto dei luoghi di origine, sulla salvaguardia dei beni ambientali. Sono questi gli elementi fondanti di quel capitale culturale in grado oggi di dare una riposta alle esigenze sempre nuove di una clientela – soprattutto straniera, e non solo dei Paesi avanzati ma anche di quelli emergenti – che chiede maggiore personalità, storia e tradizione nei prodotti comprati e consumati.
Le connessioni tra economia e cultura hanno peraltro sempre caratterizzato l’offerta del nostro Paese, dove l’enorme patrimonio di saperi e creatività ha fatto sì che molte produzioni – a partire da quelle caratteristiche del made in Italy di successo – siano considerate esempi di qualità non solo “intrinseca” ma sempre più anche “percepita”, grazie al contenuto di design che incorporano, alla forza del marchio con cui s’identificano, alla capacità dimostrata nel comunicare e diffondere valori e significati propri della società, del modo di vivere e dell’economia italiana.
Secondo questa logica, la cultura non è solo passato, ma soprattutto presente, progresso e sostenibilità: attraverso l’operato di migliaia di imprese, figlie della cultura e dei saperi propri del nostro territorio, ancora oggi nascono prodotti che si affermano sullo scenario competitivo internazionale.
La cultura rappresenta, quindi, l’origine e, allo stesso tempo, la frontiera della competitività del nostro made in Italy: perché è certamente fondata sulla tradizione, ma una tradizione che sa rinnovarsi e che alimenta quello spirito, per certi versi unico nel suo genere, dell’Italia che inventa. Del resto, innovare nella continuità è quanto di meglio hanno dimostrato di saper fare le nostre eccellenze imprenditoriali, anche in questi anni difficili: una sorta di concreta e moderna incarnazione dell’Art.9 della nostra Costituzione, definito da Carlo Azeglio Ciampi come il più originale, perché mette in relazione ricerca scientifica e tecnica con il paesaggio e il patrimonio storico-culturale del Paese.
Siamo convinti sia questo il modello di sviluppo sul quale occorre costruire il futuro dell’Italia: ed ecco perché il titolo del presente rapporto realizzato dalla Fondazione Symbola e da Unioncamere, giunto quest’anno alla sua seconda edizione, è proprio “L’Italia che verrà”. L’intento perseguito è quello di mettere in risalto il ruolo della cultura come infrastruttura immateriale capace di generare molta più ricchezza di quanto si pensi, come si legge dal racconto delle tante aziende già oggi testimoni della direzione che occorre percorrere. Per raggiungere questo obiettivo, si è voluto seguire un approccio di analisi originale, che, partendo dalla ricostruzione del quadro definitorio, permette innanzitutto di definire le dimensioni e il ruolo che la produzione di cultura assume all’interno del nostro tessuto economico: in termini di capacità di creare valore aggiunto e occupazione “sostenibile”, di proiettarsi sui mercati internazionali, di dar vita a una filiera che, a monte e a valle, racchiudesse tutte quelle attività che rendono unico il nostro sistema imprenditoriale nel mondo. A questa prima parte quantitativa segue una seconda parte di natura più qualitativa, quella che generalmente nei nostri lavori chiamiamo geografie, nella quale vengono descritti i metabolismi in atto nei diversi settori che compongono il variegato universo della produzione di cultura, per cogliere nuove tendenze, anche solo embrionali, esemplificate da realtà d’eccellenza che si affermano come best practice.
In questa nuova edizione, le informazioni presentate mostrano con evidenza che lo stato di salute della “cultura produttiva” italiana è senz’altro incoraggiante, e mostra ancora ampi margini di sviluppo nel prossimo futuro. Nel 2011, il valore aggiunto del sistema produttivo culturale ammonta a quasi 76 miliardi di euro, pari al 5,4% del totale dell’economia, frutto del lavoro di 1 milione e 390 mila occupati e con una proiezione all’estero tale da portare, nello stesso anno, ad esportare beni per oltre 38 miliardi di euro. Ma non solo: alla produzione di cultura si associa una forte tenuta occupazionale, un fenomeno ancora più evidente nell’attuale crisi economica. Rispetto al 2007, l’occupazione nel settore della cultura è infatti cresciuta, quando nel complesso dell’economia nazionale si è invece dimostrata in flessione. Quest’anno, oltre 32mila assunzioni alle dipendenze programmate dalle imprese industriali e terziarie è riconducibile al sistema produttivo culturale. Un fabbisogno occupazionale e formativo che – proprio partendo dalla ricerca e dalla creatività, dall’originalità, dalla qualità e dall’innovazione – vuole “guardare in alto”, verso un upgrading del fattore lavoro che risulta determinante per arricchire di maggior valore e di nuovi significati l’offerta di prodotti e servizi dell’Italia.
Senza dimenticare un altro fattore di estrema importanza, ossia la valenza strategica dell’industria culturale espressa dalla sua forte intersettorialità e capacità di attivare altri importanti “segmenti” del sistema economico: per ogni euro prodotto dal settore, se ne producono infatti quasi altri due all’interno dell’intera filiera culturale (dal recupero del patrimonio storico-architettonico fino al turismo e al commercio di prodotti tipici), arrivando a coprire il 15% dell’intera economia, in termini di valore aggiunto, e il 18,1% dell’occupazione. La logica di networking che il sistema produttivo culturale riesce a generare – anche attraverso il sostegno delle istituzioni impegnate nella valorizzazione dei sistemi economici territoriali, come le Camere di commercio – si afferma come un elemento ormai indispensabile per vincere le nuove sfide globali. È solo favorendo la messa in rete di competenze e saperi imprenditoriali che possiamo riuscire con successo a unire innovazione e tradizione, a internazionalizzare piccole realtà locali, a fare delle tante singole genialità un unico e potente know-how tutto italiano, in grado di portare il nostro Paese a competere ad alto livello sui mercati internazionali.